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Il problema del motoSi è già accennata la centralità della ricerca sul moto dei corpi nell’opera di Galileo; egli iniziò ad occuparsi di esso in termini aristotelici già nei primi anni di insegnamento. Ma, sulla base di esperienze svolte, egli si accorse ben presto della scarsa applicabilità dei dogmi aristotelici alle osservazioni, sia pure in termini qualitativi. Dobbiamo pensare inoltre che il concetto stesso di velocità a noi così familiare, ossia uno spazio diviso per il tempo impiegato a percorrerlo (è questo il significato della scritta Km/h sul tachimetro di un’autovettura), era nel 1600 assai vago; Galileo si trovò dunque a dover definire dapprima in termini trattabili matematicamente questo importante elemento del moto. Ma il problema maggiore era il sistema di calcolo usato dallo studioso in cui non era pensabile effettuare operazioni fra grandezze che non fossero tra loro omogenee, ossia relative a due cose così diverse come lo spazio ed il tempo; egli fu costretto a dover ragionare quindi su rapporti omogenei di velocità riferite a diversi intervalli. In altre parole, per analizzare il movimento di un corpo con un regolo, non potendo semplicemente dividere uno spazio per un intervallo di tempo, egli deve fare riferimento a rapporti di velocità intercorrenti fra le diverse suddivisioni dello strumento; l’indubbio passo in avanti costituisce nel fatto che così è comunque possibile effettuare dei calcoli, ossia delle predizioni.
I valori forniti dalle leggi scritte in precedenza sono ovviamente ottenuti trascurando la resistenza dell’aria; in realtà tenendo conto di questo effetto si avrebbe una velocità lievemente inferiore dipendente anche dalla forma dell’oggetto che viene lasciato cadere; ciò è peraltro un bene sotto certi aspetti, altrimenti correremmo il rischio di venire uccisi da un chicco di grandine sparato a centinaia di metri al secondo, oppure anche da una goccia d’acqua a tale micidiale velocità. Peraltro, le gocce d’acqua non avrebbero la forma tondeggiante a cui siamo abituati… Ecco che il nostro mondo idealizzato diventa un poco meno liscio e dobbiamo modellare gli ostacoli al moto: la palla si copre di peli, il piano inclinato diventa un po’ più ruvido e così via… La formulazione della corretta legge di caduta peraltro richiese molto tempo a Galileo per essere scovata sia per la necessità di definire anche il concetto di accelerazione alla quale allora non veniva assegnata quasi alcuna importanza, sia per la difficoltà di effettuare misure accurate di moti di caduta i quali richiedono la misurazione di tempi piuttosto brevi. Un grande aiuto venne dall’uso del piano inclinato per rallentare il moto, rendendolo così più facilmente osservabile e rendendo trascurabili, se tutto l’apparecchio è ben costruito, gli errori dovuti agli inevitabili attriti e consentendo di adoperare per la misura dei tempi un orologio ad acqua. Una tecnica curiosa che lo scienziato adoperò all’inizio delle sue esperienze per misurare le velocità fu quella di misurare le deformazioni indotte dalla caduta di una pallina di piombo da diverse altezze su di una tavoletta deformabile, per esempio di cera. La profondità dell’incavo scavato dall’impatto è infatti collegata, anche se in maniera quadratica, alla velocità con cui la pallina è arrivata sul bersaglio e dipende anche dal suo peso. Questo lo portò dapprincipio a formulare l’ipotesi erronea che la velocità della pallina dipendesse linearmente dalla distanza percorsa (invece che dal suo quadrato, come poi scoprì in seguito). Galileo arrivò anche a due altri risultati di importanza fondamentale per la meccanica, ossia egli formulò quello che sarà il primo principio della dinamica newtoniana e che è in aperto contrasto con le ipotesi aristoteliche, che può venire enunciato in termini moderni come: ogni corpo permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme rispetto ad un qualunque sistema di riferimento inerziale fintantoché non intervenga qualche causa esterna a modificare tale stato. Il secondo grande contributo è di un’eleganza senza pari e va sotto il nome di principio di relatività galileiana, per il quale una delle diverse possibili forme è l’impossibilità di discriminare attraverso un qualunque esperimento fisico lo stato di moto uniforme di un sistema a meno di non fare riferimento ad un sistema di riferimento esterno. La spiegazione che il nostro scienziato presenta in un celebre passo del Dialogo sopra i Massimi Sistemi è giustamente celebrata come un capolavoro di semplicità e di divulgazione scientifica: “Rinserratevi con qualche amico nella maggior stanza che sia sotto coverta di un gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto in basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all’amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazi passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benchè niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder così, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; che (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprendere se la nave cammina o pure stia ferma”. Si badi bene che questo punto è di fondamentale importanza anche nella critica cosmologica del sistema tolemaico in quanto uno dei problemi del sistema copernicano era la mancanza dell’osservazione nel moto terrestre di quegli effetti che intuitivamente sono associati alla velocità. In altre parole, se la terra compie un giro su se stessa ogni 24 ore, perché non vi sono dei venti di incredibile potenza e gli uccelli possono librarsi in volo senza problemi? Il principio di relatività galileiana, da cui tra l’altro si possono ottenere delle semplici formule utili per descrivere le leggi di composizione dei moti e delle velocità, è un punto di importanza primaria proprio per evidenziare l’infondatezza di tali argomentazioni, data anche la possibilità di confondere almeno in piccola scala il moto circolare uniforme della terra con la tangente rettilinea. Si badi bene che proprio l’idea che sta nel cuore del principio di relatività galileiana venne estesa ad una classe più ampia di fenomeni da Albert Einstein nella formulazione delle teorie della relatività ristretta (1905) e generale (1916). Il Saggiatore, Il Dialogo sopra i Massimi Sistemi e la definitiva sconfittaLa situazione di silenzio a cui era costretto dalle ammonizioni del cardinal Bellarmino non venne sopportata a lungo dal carattere dello scienziato anticonformista e profondamente convinto dell’erroneità delle posizioni ufficiali tolemaiche. Con la morte, nel 1621, del cardinale e l’ascesa al soglio pontificio di Maffeo Barberini con il nome di Urbano VIII nel 1623, la situazione sembra diventare più propizia per lo scienziato il quale pubblica nell’ottobre dello stesso anno, dedicandolo proprio al nuovo Papa, Il Saggiatore, un testo fondamentale in cui, con il pretesto di controbattere ad argomentazioni sulla natura delle comete, egli esponeva una vera e propria “teoria della conoscenza”. Uno dei punti più importanti era la raggiunta consapevolezza della grande complessità della natura: egli ammise candidamente di non sapere “precisamente determinar la maniera della produzzion della cometa”, ma di non ritenere questo affatto strano, in quanto fenomeni di tal fatta potevano prodursi in modo completamente al di fuori della nostra immaginazione. Questa è, se si vuole, un modo di pensare simile per certi aspetti al “non sapere” socratico ed è uno dei principali punti fermi della cultura scientifica; una legge scientifica non è per sua natura né sicura, né può venire dimostrata in alcun modo come accade invece per un teorema matematico; semplicemente essa si adatta ai dati sperimentali e nessuno sa il perché; ecco che il dubbio acquista dunque un gran valore nell’indagine.
Peraltro, in questo periodo -di salute malferma per Galileo-, sembra che a Roma vi fosse una maggiore indulgenza verso lo scienziato ed egli credette, a torto come vedremo, di esser sufficientemente al sicuro da poter ritornare a parlare in maniera decisa delle ipotesi copernicane in una nuova opera che pubblicò nel 1632, ossia il Dialogo sopra i Massimi Sistemi, del quale l’autore aveva dichiarato come imminente la pubblicazione molti anni prima nel Sidereus Nuncius. Il Dialogo è forse una delle opere più importanti di Galileo ed occupa anche un considerevole rilievo nella storia della letteratura italiana del periodo; esso è articolato in quattro “giornate” in cui si intrecciano le discussioni intorno alla natura di tre studiosi: Simplicio, che riporta le ipotesi dei filosofi in libris aristotelici, Sagredo che è un giovane di acuto intelletto e ben disposto ad ascoltare ed argomentare senza costrizioni intellettuali e Salviati il quale è nel libro la vera voce di Galileo. I temi trattati sono svariati e spaziano dal moto, all’astronomia e, nella quarta giornata, al fenomeno delle maree; per quanto riguarda il moto viene enunciato (come citato in precedenza) il principio di relatività e viene presentata la legge di caduta dei corpi, a cui è applicato l’artificio matematico della composizione dei moti per spiegare il moto di un proiettile. Per quanto concerne l’astronomia, le ipotesi copernicane sono difese a spada tratta e si indugia su questioni come la corruttibilità della Luna, la natura dei suoi rilievi ecc… Ma il Dialogo era un riassunto di un po’ tutte le concezioni e le idee del nostro scienziato il quale peraltro non mancava di lanciar strali ai peripatetici con la sua ironia acuta; in sé, il libro è un’opera eccellente di divulgazione scientifica e presenta tuttora una grande attualità, anche se alcune delle posizioni galileiane si sono rivelate parzialmente errate, come la spiegazione del moto delle maree. In essa sono presenti principi fondamentali e nuovi che avrebbero posto le basi di un nuovo sapere organizzato in maniera ben diversa dalle posizioni di Aristotele; in esso è presente l’idea di una descrizione unificata della natura per mezzo di semplici leggi accessibili all’uomo; si pensi che lo scrittore mostra più volte di avere inteso che la forza che costringe una pietra a cadere in terra è la stessa che costringe i pianeti a muoversi in cerchio nelle loro orbite, anticipando così in maniera fondamentale le intuizioni di Newton. L’opera fu però corredata da un’introduzione “al discreto lettore” la quale precisava che le posizioni copernicane sostenute da Salviati non erano altro che “pura ipotesi matematica” senza alcuna pretesa di verità: lo scienziato fu dunque costretto, per prudenza, non certo per intima convinzione, a trasferire le sue ipotesi dal campo del reale a quello del possibile, facendo così in qualche modo un’eco alla prefazione di Osiander al libro di Copernico. Leggendo il libro tuttavia, risulta evidente che le parole di Salviati sono ben altro che finzione scenica e non mancano di mordente nei confronti della filosofia “in libris”. In realtà Galileo prese nuovamente sottogamba le critiche nei suoi confronti e la reazione delle autorità ecclesiastiche si fece sentire in maniera decisa quasi subito dopo la pubblicazione del libro, il quale era comunque stato approvato dalla censura; in particolare fu proprio il Papa Urbano VIII a prendere posizione. Nella chiusura del libro infatti veniva esposta per bocca di Simplicio (che per il resto costituiva il bersaglio della polemica) la dottrina esposta personalmente dal Papa allo scienziato secondo la quale Dio nella propria potenza può mostrare i fenomeni osservabili in una infinità di modi diversi e dunque l’osservazione di eventi non può condurre in alcun modo alla verità. La reazione fu molto dura, il Papa era accusato da molti di essere troppo liberale sul piano culturale (siamo sempre in periodo di controriforma) e scelse Galileo come capro espiatorio anche per ottenere qualche beneficio nella difficile situazione politica internazionale che interessava lo Stato pontificio in quel periodo, con un’agricoltura ed un progresso quasi strozzati.
L' accusa tornò nuovamente alla carica poco più di un
mese dopo chiedendo a Galileo di confessare la propria fede in Copernico e
di dire la verità, oppure si sarebbe passati alla tortura; la sentenza fu
pronunciata il 22 giugno 1632 in Santa Maria della Minerva, in cui fu
comunicato all’accusato di essere “vehementemente sospetto
d’heresia” e soggetto dunque alle pene conseguenti. Il Dialogo
fu proibito e lo scienziato fu condannato al carcere e fu costretto a
pronunciare la famosa abiura, di cui ecco la parte terminale: “Con cuor
sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et
heresie e generalmente ogni et qualunque altro errore, heresia e setta
contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l’avvenire non dirò mai più
né asserirò, in voce o in scritto, cose per le quali si possa haver di me
simil sospitione; ma se conoscerò alcun heretico o che sia sospetto
d’heresia, lo denontiarò a questo S. Offizio ovvero all’Inquisitore o
Ordinario del luogo dove mi trovarò. Giuro anco e prometto di adempire et
osservare intieremente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno
da questo S. Offizio imposte; e contravvenendo ad alcuna delle mie
promesse e giuramenti, che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e
castighi che sono da’ sacri canoni et altre costitutioni generali e
particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Così Dio
m’aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani.”.
Lo scienziato venne dapprima trasferito a Siena, sotto la custodia
dell’arcivescovo Piccolomini (a lui amico), e pochi mesi più tardi si
permise che si trasferisse ad Arcetri, in isolamento. Anche se in
condizioni di sorveglianza, Galileo riuscì a pubblicare nel a Leida i
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze nel 1638,
anno in cui perdette completamente la vista, ed in esso erano esposte in
forma piuttosto tecnica e meno divulgativa rispetto al Dialogo concetti
inerenti la fisica del moto e la resistenza dei materiali. Perché le teorie galileiane sono teorie scientifiche?Abbiamo parlato delle ipotesi aristoteliche ed abbiamo visto come esse, in un certo modo, si accordassero alla descrizione qualitativa dei fenomeni naturali così come percepibili dai nostri sensi, in contrapposizione alla descrizione astratta e quantitativa fornita da Galileo; ci possiamo dunque porre la sensata questione del perché le teorie galileiane siano preferibili rispetto alle vecchie supposizioni aristoteliche le quali pure appaiono a prima vista così ragionevoli. La risposta è che il valore di una teoria scientifica è quello di poter formulare delle predizioni, anche se queste sono sempre ed inevitabilmente affette da errori (la stima dei quali costituisce un campo fondamentale per conoscere la qualità della predizione stessa). Non serve a nulla una teoria la quale di fronte ad un fenomeno già avvenuto ne spieghi con dovizia di particolari il perché è avvenuto proprio in quel modo. Questo è quanto accade per esempio nei sistemi applicati al gioco del lotto, i quali si basano sulla teoria dei ritardi la quale è un perfetto esempio di spiegazione a posteriori e di calcolo delle probabilità mal digerito; di lavoro scientifico la teoria dei ritardi possiede solo la forma esteriore e magari i termini, usati più per impressionare chi non è preparato sull’argomento, senza cogliere in alcun modo la sostanza del ragionamento scientifico, senza la quale i calcoli ed i paroloni non hanno alcuna ragione di esistere. Beninteso, una teoria predittiva valida deve essere in grado di descrivere con sufficiente precisione (si badi bene, descrivere, non spiegare!) anche le esperienze avvenute.
Una legge fisica non può mai essere controllata con
sicurezza; possiamo vagliare risultati di decine di migliaia di
esperimenti condotti in condizioni sempre differenti che sembrano
confermare la nostra legge, ma chi ci dice che non esista almeno una
condizione in cui essa non è verificata? La falsificazione di una teoria,
ossia il dimostrare che essa non è valida per spiegare un evento
sperimentale non è un processo distruttivo, ma è un grande passo in avanti
nella ricerca di una teoria più generale la quale risulti valida anche per
le situazioni in cui le vecchie supposizioni erano in difficoltà. La
vecchia teoria entra a far parte di una nuova più generale che la ingloba
come caso particolare, così come la relatività galileiana è un caso
particolare della relatività speciale einsteniana del 1905 e quest’ultima
sia nuovamente un caso particolare della relatività generale del 1916.
Ecco alcune righe di Popper sull’argomento: “La risposta appropriata
alla mia domanda <In che modo possiamo sperare di scoprire l’errore e
di eliminarlo?> è, a mio avviso, la seguente: <Criticando le teorie
o i tentativi congetturali fatti dagli altri e, se possiamo educarci a
farlo, criticando le nostre stesse teorie e i nostri tentativi
congetturali>”.
BibliografiaIl lettore interessato a Galileo può trovare nella letteratura centinaia di opere di alta qualità dedicategli; qui sono riportate le opere a cui ho fatto riferimento per la stesura del presente testo ed a cui sono presenti frequenti riferimenti. [Bellone] Galileo: le opere e i giorni di una mente inquieta di Enrico Bellone edito nella collana “I grandi della scienza” anno 1, n.1 da Le Scienze, Milano, febbraio 1998. [Geymonat] Galileo Galilei di Ludovico Geymonat, Einaudi, Torino 1957 [Galilei] Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei, a cura di Libero Sosio, Einaudi, Torino 1970 [Einstein] L’evoluzione della fisica: dai concetti iniziali alla relatività e ai quanti di A. Einstein e L. Infeld, Bollati Boringhieri Torino 1965; titolo originale: The Evolution of Physics, The Growth from Early Concepts to Relativity and Quanta 1938 [Feynman1] The Feynman Lectures on Physics vol. I, Richard P. Feynman, Robert B. Leighton, Mattew Sands, Addison-Wesley, Reading, Massachussetts 1965 [Feynman2] La legge fisica di Richard P. Feynman, Bollati Boringhieri, Torino 1971 rist. 1998; titolo originale: The Character of Physical Law, British Broadcasting Corporation, London 1965 [Rossi] Storia della scienza moderna e contemporanea; volume 1: Dalla rivoluzione scientifica all’età dei lumi, tomo 1, a cura di P. Rossi, Tascabili degli Editori Associati S.p.A. © 1988-1998 UTET [Popper] La scienza e i suoi nemici di Karl R. Popper, Armando Editore, Roma 2000 [Gamow] Biografia della fisica di George Gamow, Oscar Saggi Mondadori, settembre 1988; titolo originale: Biography of Physics, Harper Modern Science Series edited by James Newman, 1961 [Segrè] Personaggi e scoperte della fisica di Emilio Segrè, Oscar Saggi Mondadori [Hoyle] L’astronomia di Fred Hoyle, Sansoni, Firenze
1963, titolo originale Astronomy, Rathbone Books Limited, London 1962
[Koyré] Etudes galiléennes, Hermann 1966 Paris, nouveau
tirage 2001 |
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